Le primarie oggi, in Italia, nelle realtà più grandi come in quelle più piccole, rappresentano un’ineludibile strumento e un passaggio decisivo alla ricerca di forme sempre più avanzate di democrazia.
Anche l’Associazione Futura, in vista delle prossime competizioni comunali del 2013, ritiene che le primarie rappresentino un’ineludibile strumento al fine di evitare che si attivino metodi obsoleti, prescindendo da ciò che i cittadini, invece, chiedono.
da Wikipedia, l'enciclopedia libera, e dalla rete cerchiamo di capire cosa sono.
Le elezioni primarie sono una competizione elettorale attraverso la quale gli elettori o i militanti di un partito politico decidono chi sarà il candidato del partito (o dello schieramento politico del quale il partito medesimo fa parte) per una successiva elezione di una carica pubblica.
La ragione delle elezioni primarie è la promozione della massima partecipazione degli elettori alla scelta dei candidati a cariche pubbliche, in contrapposizione al sistema che vede gli elettori scegliere fra candidati designati dai partiti.
Le elezioni primarie sono utilizzate in particolar modo negli Stati Uniti d'America. Le elezioni primarie nascono come sistema locale: la prima elezione primaria fu tenuta dal Partito Democratico in Pennsylvania il 9 settembre 1842. Dopo la guerra civile americana (1861-1865) si diffusero negli Stati del Sud, dove ovviavano al problema di una rappresentanza politica di fatto mono-partitica.
Alla fine del XIX secolo grazie alla spinta del movimento progressista sono divenute una istituzione pressoché generalizzata a livello nazionale.
Nel Paese nordamericano le prime elezioni primarie erano del tipo "chiuso", ossia alle primarie di un partito potevano votare tutti i membri di quel partito. Negli anni 70 del XX secolo si sono diffuse le primarie di tipo "aperto", che consentono il voto a tutti i cittadini.
In un sistema bipartitico (o bipolare) la primaria aperta tende a selezionare candidati più centristi rispetto all'elettorato (non rispetto ai militanti) e a favorire maggiormente la partecipazione alle elezioni, ma è aperta al rischio di "inquinamento" da parte dei sostenitori del partito avversario.
A partire dal 2005, il metodo delle elezioni primarie (di tipo "aperto") è stato introdotto anche in Italia dalla coalizione di centrosinistra L'Unione, formata appunto il 10 febbraio 2005.
La coalizione di centrodestra non ha mai organizzato elezioni primarie per scegliere i suoi candidati, in quanto Berlusconi è stato sempre l'unico leader di tale schieramento dalla sua discesa in campo nel 1994 fino ad oggi.
In Italia le elezioni primarie non sono previste o regolamentate per legge, come avviene negli USA. Di conseguenza, in Italia questo tipo di elezioni non ha alcun valore legale, anche se molti esponenti politici, considerandolo un modo diretto di partecipazione dei cittadini, ritengono necessario estenderne il più possibile l'utilizzo.
In Italia non sempre il risultato delle primarie è stato quello sperato dalla Leadership, infatti in molte competizioni i candidati designati dagli apparati di partito si sono visti soccombere dagli outsider.
Nel complesso, si possono distinguere tre modelli fondamentali: le primarie aperte, le primarie di partito e il voto degli iscritti.
Le primarie aperte negli Usa
Le elezioni primarie “aperte”, che ammettono la partecipazione anche dei non iscritti ai partiti, sono decisive per la selezione dei candidati negli Stati Uniti e l’esperienza americana fornisce ampie prove dei vantaggi e svantaggi di questa formula.
Il vantaggio principale, stando ai sostenitori delle primarie, risiede nel loro contributo alla responsiveness dei partiti, i quali, permettendo agli elettori di scegliere i candidati, non possono ignorarne preferenze e orientamenti.
In assenza di democrazia interna ai partiti, gli elettori rischiano di trovarsi di fronte alla scomoda scelta tra votare per un candidato distante dal partito ideologicamente che essi preferiscono oppure astenersi, favorendo il partito avverso.
Le primarie vorrebbero ridurre la possibilità che i partiti ignorino le preferenze dei loro sostenitori e quindi contribuire ad ancorarli più saldamente alla loro collocazione nello spazio ideologico.
Le primarie di partito in Spagna
Il Partito socialista spagnolo è uno dei pochi partiti occidentali ad aver adottato il metodo delle primarie, con conseguenze subito dirompenti.
Le primarie tenutesi nel 1998 per scegliere un candidato Primo Ministro per le elezioni di quell’anno provocarono la bocciatura, del tutto inattesa, del segretario del partito (Joaquín Almunia) a beneficio di un candidato relativamente di basso profilo come l’ ex-ministro José Borrell.
Benché gran parte delle primarie destinate a selezionare candidati per le cariche locali e regionali si fossero svolte senza sorprese, la sconfitta del segretario del partito costituisce un ottimo esempio del potenziale di destabilizzazione delle primarie, anche quando si limitano a coinvolgere solo gli iscritti al partito. Questo dimostra quanto le primarie differiscano dai tradizionali meccanismi di democrazia interna.
Interrogati a titolo individuale, gli iscritti votarono in maggioranza contro il leader del partito, che era stato eletto dal congresso secondo le procedure tradizionali della democrazia delegata, a conferma dell’insufficienza di tali procedure per riflettere l’opinione degli iscritti, specie in un partito molto disciplinato come il Psoe, in cui gran parte dei delegati ai congressi erano detentori di cariche pubbliche la cui sorte dipendeva dal favore di un potente apparato di partito.
Il voto degli iscritti nei partiti britannici
In Gran Bretagna tutti e tre i maggiori partiti concedono oggi in qualche modo il voto agli iscritti nella selezione dei candidati, confermando la tesi secondo cui tale forma di democratizzazione corrisponde alla debolezza organizzativa dei partiti. Tutti e tre i partiti britannici sono afflitti da trent’anni da un sostanziale declino delle iscrizioni. Sia il Labour sia i Tories hanno affrontato crisi di legittimità e credibilità a seguito di sconfitte elettorali traumatiche e la valorizzazione della partecipazione degli iscritti è stata ritenuta una strategia per affrontarle.
Le riforme “democratiche” nella selezione dei candidati sono anche state introdotte in funzione di giochi interni di potere. Nei due maggiori partiti britannici la riforma del processo di selezione dei candidati ha teso a spostare il potere in due direzioni : verso gli iscritti e verso la Leadership a spese dei dirigenti intermedi.
Abbandonato il suo vecchio sistema di selezione a favore di un sistema basato sulle iscrizioni individuali, le riforme nelle procedure di selezione dei candidati del Partito laburista erano più finalizzate ad aggirare le élites intermedie, ritenute più riluttanti ad abbracciare una strategia centrista, che non a dar voce davvero alla base. Queste riforme hanno coinciso con una crescente centralizzazione del potere intorno alla leadership del Labour. La riforma non prevede elezioni primarie vere e proprie: gli iscritti infatti scelgono fra candidati potenziali già filtrati dal partito. Gli esecutivi locali avviano il processo, cercano proposte di candidature, predispongono una prima selezione, che viene sottoposta all’esecutivo nazionale perché la approvi e solo allora gli iscritti hanno diritto di votare. L’esecutivo conserva un diritto di veto sulle candidature anche dopo che gli iscritti si sono pronunciati. In breve, le strutture del partito intervengono a tutti gli stadi del processo e tali interventi sono stati utilizzati per lo più per bloccare candidature di sinistra o di dubbia lealtà. I cambiamenti nelle procedure di selezione nel caso dei Conservatori sono state assai meno profonde. Il cambiamento più rilevante riguarda l’allargamento dell’elettorato cui spetta eleggere il leader, prima ristretto ai soli membri del gruppo parlamentare: gli iscritti avevano già il diritto di votare nelle assemblee di selezione dei candidati nei loro collegi. Per le elezioni nazionali il partito conserva una forte influenza attraverso l’approvazione delle liste nazionali dei candidati, malgrado le istanze locali godano di grande autonomia per scegliere entro queste liste.
Come per i laburisti, i voti degli iscritti contano poco quando l’apparato nazionale e locale detiene un controllo così rigido sulla scelta dei candidati. Vi sono in sostanza poche prove di un qualche miglioramento nel grado di responsiveness della leadership nei riguardi della base.
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