Difficile stabilire da dove cominciare. Il positivo connubbio tra privato e pubblico, quasi sconosciuto in Sicilia; la spettacolarità della mostra, pur se allestita in uno spazio non grande come quello delle sale del Monte di Pietà di Messina; la curiosità di un percorso artistico inedito che si fa strada tra religione, devozione e temi non molto frequentati; la presenza di opere mai viste e spesso non esposte neppure nei luoghi di provenienza; il coivolgimento di tutta la Sicilia; la pubblicazione di un libro d'arte (molto più di un catalogo) che accompagna l'iniziativa in maniera scientifica e divulgativa nello stesso tempo: sono tutti argomenti che meritano risalto per raccontare cos'è "Santi, medici e taumaturghi", l'esposizione che inaugurata il 21 ottobre rimarrà aperta fino al 15 gennaio. Tutto nasce dal desiderio della famiglia Barresi di celebrare i cinquant'anni della casa di cura "Villa Salus" in modo condiviso con l'intera città, che trova forma nell'immediata disponibilità del presidente della Provincia, Nanni Ricevuto, a concedere l'uso del Monte di Pietà e nell'idea di Saverio Pugliatti di puntare su un ideale seguito della mostra dell'anno scorso, "Angeli senza tempo".
L'immediata adesione della Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali, diretta da Salvatore Scuto ha avviato un meccanismo virtuoso, complesso e tutt'altro che facile, che ha portato a un risultato di sicuro interesse. L'aver trovato un tema artistico che così bene si è sposato con l'attività sanitaria di "Villa Salus" ha rappresentato un punto di partenza vincente, che i tre curatori – Giampaolo Chillè, Stefania Lanuzza e Grazia Musolino – hanno portato avanti non solo con competenza scientifica, ma anche con il gusto dell'insolito, del non visto.
Così accade che la mostra "Santi, medici e taumaturghi" non privilegia la qualità pittorica e scultorea, ma piuttosto – in appena 39 pezzi – la curiosità per un tipo di devozione che, anche quando passa attraverso l'arte colta, si mantiene popolare: è lo specchio elegante degli ex voto della tradizione (con qualche esempio, pure presenti in mostra). E c'è anche un'iconografia che ha valore storico, testimonianza di usi medici.
Non a caso, quale simbolo della mostra è stato scelto "Santi Cosma e Damiano" del pittore messinese del Seicento Giovan Battista Quagliata (appartiene al Museo di Messina, dove però non è esposto in attesa del miraggio dell'apertura della nuova sede).
I due santi, medici e fratelli, sono colti mentre curano due pazienti in mezzo agli strumenti del mestiere: la cassetta con i medicamenti, vasi da farmacia, libri, carte e soprattutto una pipa con cannello di vetro che nel XVII secolo era utilizzata – come spiega la scheda di Luigi Hyerace – per far inalare o fumare miscele di erbe (belladonna, stramonio, mandragora etc.) con effetto narcotico e anestetico.
Altri santi medici per tradizione sono l'evangelista Luca e san Pantaleone, ma l'iconografia antica, per gran parte perduta, ricordava anche i cosiddetti "santi ausiliatori": erano 15 e il loro culto fu importato dalla Germania. Utili per tutte le malattie, furono poi messi da parte dalla Chiesa e più recentemente sono finiti fra i santi chiamati di serie B. Per questo appare ancora più interessante la grande tela "Crocifisso con Annunciazione e Santi ausiliatori" (fine del '500) di autore ignoto e conservata a Corleone. Solo il restauro ha consentito di "ritrovare" il gruppo dei 15 (ognuno indicato col proprio nome), che era stato cancellato, probabilmente dopo il loro accantonamento.
Un altro aspetto d'interesse è quello di dare rilievo a opere che non sono note nella città d'appartenenza, come "San Clemente in cattedra" di ignoto (sec. XVI-XVII), che si trova nell'omonima chiesa di Messina ed è esposto nella sua qualità di protettore contro le malattie dei bambini. Quasi sconosciuto è anche l'intenso "San Francesco di Paola" (ignoto, sec. XVIII), un bellissimo ritratto abitualmente nella chiesa di san Camillo, sempre a Messina.
E solo il restauro, fatto in questa occasione, ha consentito di rivedere le quattro "Scene di guarigione", conservate nel convento dei Cappuccini di Santa Lucia del Mela e dipinte da fra' Felice da Sambuca: non hanno molti pregi artistici, ma ben raffigurano abiti del Settecento siciliano, con la singolarità che il personaggio centrale, uomo o donna che sia, ha sempre la stessa fisionomia.
Ci si dovrebbe soffermare su molto altro (si pensi alla statua di sant'Apollonia con in mano una tenaglia, completa di dente appena estratto) ma è più opportuno mantenere il gusto della scoperta al visitatore, che può essere aiutato dal libro di cui si è detto, con l'introduzione di don Giovanni Russo che guarda a medicina e tradizione in prospettiva teologica, i saggi dei tre curatori e quello di Sergio Todesco sull'arte popolare. Oltre a tutte le schede delle opere esposte.
FONTE: http://www.gazzettadelsud.it/
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